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Comunicazione

Immigrazione ed innovazione tecnologica – Il caso Silicon Valley

Il decreto anti-immigrazione promosso dal Presidente Trump ha scatenato forti polemiche negli Stati Uniti. Si è fatta notare in particolare la reazione compatta di quella che è considerata la fucina di talenti e il motore tecnologico della prima economia del mondo: Silicon Valley.

Mark Zuckerberg per esempio ha detto con orgoglio che “Siamo una nazione di immigrati e tutti ne abbiamo beneficiato quando gli elementi migliori e le menti brillanti di tutto il mondo hanno potuto vivere in America, lavorare e dare il loro contributo.” Posizione, quella del fondatore di Facebook, sostenuta anche dai numeri se si pensa che oltre il 60% delle tech company ha tra i suoi fondatori immigrati di prima o seconda generazione.

Steve Jobs, icona globale e papà di Apple aveva madre svizzera e padre siriano. Il fondatore di WhatsApp è ucraino. Dara Khosrowshahi fondatore di Expedia, gigante dell’industria dei viaggi OnLine è iraniano. Peter Thiel di Paypal e Herman Hollerith primo fondatore di IBM sono tedeschi. Sergey Brin, co-fondatore di Google è russo. Larry Allison e Bob Miner di Oracle hanno origini russe ed iraniane. Jeff Bezos di Amazon ha chiare origini cubane. Ebay ha un cuore francese. Eduardo Saverin di Facebook è brasiliano. In EMC c’è Roger Marino, italiano di seconda generazione. VMware è made in svizzera. LinkedIn ha un bel mix franco-tedesco. Broadcom ha tanta Polonia. Jerry Yang da Taiwan ha fondato Yahoo. Elon Musk, golden boy di Tesla, Paypal e SpaceX è sudafricano.

Questo perché i poli di innovazione come la Silicon Valley tendono a produrre una dinamica propria che attira sapere, investimenti e talenti da tutto il mondo. Questo è successo (e continua a succedere) nella San Francisco Bay Area dagli Settanta in poi.  Non per niente negli anni Novanta, Silicon Valley ha tratto vantaggio dalla proliferazione di imprese giapponesi, taiwanesi, coreane, indiane,europee e sono arrivati in California migliaia di ingegneri e di esperti informatici: prevalentemente da India e Cina. E’ stato anche grazie a loro, alla loro partecipazione attiva, alla loro comprensione delle nuove dinamiche della nascente economia dell’informazione che Silicon Valley è stata capace di impadronirsi anche della nuova industria, quando Internet è diventata una tecnologia commerciale. Mentre le grandi compagnie consolidate dell’Est degli Stati Uniti erano troppo rigide ed arroganti per ristrutturarsi Silicon Valley continuava a sfornare prodotti, talenti, nuove imprese, inseminare idee e nuove relazioni. Nutrendosi sostanzialmente di immigrazione.

La regola base della comunicazione in Silicon Valley

Gran parte di quello che c’è di rilevante nel mondo in cui lavoro accade nel raggio di 50 miglia, nella parte sud della baia di San Francisco. E’ fondamentale quindi imparare a comunicare bene e comprendere questa cultura solo apparentemente vicina alla nostra.

Faccio subito chiarezza: gli stereotipi sono il peggior nemico di una comunicazione costruttiva ed efficace. La personalità di ogni individuo è un universo unico e conta solo l’esperienza diretta. Però è anche vero che i manager della Silicon Valley  sono esseri umani che risentono della cultura in cui sono cresciuti e in cui vivono. Possono essere più o meno brillanti, più o meno alla mano, ma poi nei fatti agiscono come hanno imparato a fare da bambini.

Mi è capitato di assistere nei giorni scorsi ad una discussione illuminante su questo tema che ha colto esattamente nel segno. “Qui non si parla di chi sia meglio o peggio, ma solo di come attivare una comunicazione fruttuosa. Voglio fare una considerazione su un punto vitale! Che non potete tralasciare se volete interagire con questa parte del mondo. Gli americani sono fondamentalmente “inglesi” e “calvinisti”. La loro è una cultura a basso contesto e il calvinismo riduce ulteriormente questa propensione a dare un senso alle parole in base al contesto in cui sono dette. Questo fa sì che se un americano vi chiede una birra, vi sta chiedendo solo e soltanto una birra. Qualsiasi altra cosa gli diate ci resterà male. Come minimo penserà che siate poco svegli ed incapaci di capire.” 

Se un vostro partner o cliente vi chiede la larghezza della vostra nuova scheda elettronica vuole conoscere solo una dimensione. Altri dettagli non richiesti lo annoieranno e probabilmente metterà una croce su di voi a prescindere dalla qualità del prodotto. Perché lui aveva chiesto una misura e come risposta ha avuto una invasione del suo tempo del tutto inappropriata. Per noi italiani questo è molto difficile da capire e tutti abbiamo parecchi problemi prima di metabolizzare, ma è indispensabile che si entri nella logica se si vuole interagire con chi lavora da quelle parti.

“Dobbiamo imparare a scordarci del contesto e mantenerci il più possibile sulla traccia. Ricordate, se uno statunitense vi chiede A, vuole semplicemente A. Niente di meno, niente di più.” La risposta non può essere vaga o barocca ma fatta solo di dati misurabili, statistiche, informazioni dettagliate. Fornite con puntualità e rispetto dell’agenda.  Questa regola vale ovunque negli Stati Uniti. E’ una cosa generale e non limitata alla Silicon Valley. Anzi San Francisco ha una attitudine molto più smussata rispetto al resto degli USA.