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Degli uomini e delle macchine

Uno dei temi ricorrenti oggi in ambito Industria 4.0 è quello del rapporto tra uomo e macchina. I robot sono una risorsa o un problema? Le macchine creano benessere oppure distruggono posti di lavoro? L’argomento è affascinante ma ha davvero senso discuterne oggi? Non è troppo tardi?

Le discontinuità nella storia

La scienza ha spezzato in varie occasioni l’idea primordiale che l’umanità aveva di se stessa. Copernico dimostrò la falsità di un’idea diffusissima: che la Terra fosse il centro dell’universo. Non lo era affatto, anzi è un frammento di un universo di una vastità inconcepibile. Darwin distrusse l’identità dell’uomo come entità privilegiata e distinta dal mondo animale. Non ci spettava alcun posto speciale, eravamo esattamente come tutti gli altri esseri viventi. Poi è arrivato Freud a dirci che l’io non è padrone di se stesso perché c’è un lato inconscio di cui si ha una conoscenza minima.

La quarta discontinuità

Restava una quarta discontinuità: quella tra uomo e macchina. Sin dalla prima rivoluzione industriale abbiamo considerato “tecnologia” tutti gli oggetti meccanici che aiutavano gli esseri umani nel lavoro, espandendo prevalentemente le nostre capacità fisiche. L’affermarsi della Tecnologia dell’Informazione ha cambiato il modo di raccogliere, elaborare e comunicare dati influendo direttamente ed espandendo le capacità della nostra mente.  La coevoluzione tra gli uomini e le macchine oggi è sotto gli occhi di tutti. Non possiamo più immaginarci senza le macchine e senza la rete. La crescente interazione ha cancellato in modo irreversibile la quarta discontinuità modificando sostanzialmente il modo in cui veniamo al mondo, viviamo, impariamo, lavoriamo, produciamo, consumiamo, sogniamo, lottiamo e moriamo.

Innovare è un istinto primordiale

Oggi siamo completamente dipendenti della tecnologia digitale. Esattamente come nel paleolitico gli Herectus divennero dipendenti dal fuoco. Non possiamo cambiare direzione e forse nemmeno lo vogliamo: perché innovare è un istinto primordiale!  Però in quanto Sapiens Sapiens possiamo scegliere di farlo in modo etico.

Internet of Things: necessario superare le reti locali

La spina dorsale del nostro mondo interconnesso sono i sensori. Perchè gli esseri umani (per aumentare il loro livello di comfort, di sicurezza, di comprensione) non possono più prescindere dal bisogno di analizzare i fenomeni fisici e quindi costruiscono ogni giorno oggetti capaci di leggere in modo sempre più fedele il reale. Con l’avvento della microelettronica analizzare è diventato sinonimo di digitalizzare ed i sensori sono diventati molto precisi e molto economici. La diffusione dei sensori digitali è esponenziale ma attualmente è ancora limitata da due fattori non trascurabili: la necessità di alimentazione elettrica e la connettività.

Molto è stato fatto sul fronte dell’alimentazione, per slegare i sensori dalla rete elettrica e renderne più facile l’installazione: energie rinnovabili, energy harvesting, batterie sempre più performanti, ecc.. E non siamo di certo carenti in quanto a tecnologie in grado di fornire connettività. Il problema è la relazione tra questi due fattori: i dispositivi devono poter mandare informazioni il più lontano possibile col minor dispendio energetico possibile. Banale, ma non scontato: nonostante gli enormi sviluppi tecnologici in questo senso i risultati sono ancora scarsi.

Abbiamo assistito nello scorso decennio al consolidarsi di tecnologie radio a corto raggio sempre più performanti in termini di consumo energetico (Es. Bluetooth, ZigBee, ecc) ma con una portata scarsa (30 – 100 m).  Negli ultimi anni infine abbiamo visto l’evoluzione di radio a bassa potenza ma in grado di effettuare comunicazioni su distanze maggiori. Queste reti a lungo raggio LPWAN sono il futuro degli oggetti connessi alimentati a batteria.

Le 5 principali tecnologie LPWAN

  • LoRa – LoRaWAN è considerata la rete delle persone e su di essa sono stati sviluppati dei progetti che si ispirano all’idea di Open Data (https://www.thethingsnetwork.org/)
  • SigFox – Rispetto al sistema LoRa ha delle grosse limitazioni relative alla dimensione e alla frequenza del trasferimento dati. Offre però una copertura estesissima.
  • Link Labs
  • Nwave
  • Ingenu

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Iperammortamento 2017, un’occasione da non perdere!

Negli scorsi mesi abbiamo assistito con piacere alle iniziative del Governo per delineare un piano Industria 4.0 . Siamo partiti in leggero ritardo rispetto a Stati Uniti (Manifacturing USA) e Francia (che ha investito direttamente 10 Mld di Euro nel progetto Industrue Du Futur) ma siamo in linea con il progetto tedesco Industrie 4.0.

Tutto è migliorabile, ma per una volta l’impegno c’è stato e le opportunità legate agli  incentivi sono concrete. E’ una occasione da non perdere per chi  lavora per far interagire in modo intelligente le cose in rete perché l’incentivo fiscale è un vantaggio molto importante per i nostri clienti nella misura in cui il bene connesso diventa molto più competitivo sia in termini di funzioni offerte che dal punto di vista fiscale .

Il piano Industria 4.0 è stato spesso definito “Bonus Digitale” o “Bonus Innovazione” e mira nel medio periodo a rendere le aziende italiane più flessibili, veloci, produttive ed i loro prodotti più competitivi.

A chi è rivolto e a che cosa serve

E’ un incentivo riservato alle imprese con sede in Italia che vogliono investire in beni strumentali nuovi funzionali alla trasformazione tecnologica in ottica digitale dei processi produttivi. Inoltre sono incentivate le tecnologie utili a minimizzare i consumi energetici delle aziende.

Quale è il vantaggio

Il bene subisce una supervalutazione del 250% ai fini dell’ammortamento. Un esempio concreto: per un investimento in beni che rientrano tra quelli identificati come Industria 4.0 pari a Euro 1.000.000 si otterrà una riduzione effettiva delle tasse pagate in 5 anni circa pari ad Euro 360.000 . E il beneficio fiscale è cumulabile con altre agevolazioni.

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Immigrazione ed innovazione tecnologica – Il caso Silicon Valley

Il decreto anti-immigrazione promosso dal Presidente Trump ha scatenato forti polemiche negli Stati Uniti. Si è fatta notare in particolare la reazione compatta di quella che è considerata la fucina di talenti e il motore tecnologico della prima economia del mondo: Silicon Valley.

Mark Zuckerberg per esempio ha detto con orgoglio che “Siamo una nazione di immigrati e tutti ne abbiamo beneficiato quando gli elementi migliori e le menti brillanti di tutto il mondo hanno potuto vivere in America, lavorare e dare il loro contributo.” Posizione, quella del fondatore di Facebook, sostenuta anche dai numeri se si pensa che oltre il 60% delle tech company ha tra i suoi fondatori immigrati di prima o seconda generazione.

Steve Jobs, icona globale e papà di Apple aveva madre svizzera e padre siriano. Il fondatore di WhatsApp è ucraino. Dara Khosrowshahi fondatore di Expedia, gigante dell’industria dei viaggi OnLine è iraniano. Peter Thiel di Paypal e Herman Hollerith primo fondatore di IBM sono tedeschi. Sergey Brin, co-fondatore di Google è russo. Larry Allison e Bob Miner di Oracle hanno origini russe ed iraniane. Jeff Bezos di Amazon ha chiare origini cubane. Ebay ha un cuore francese. Eduardo Saverin di Facebook è brasiliano. In EMC c’è Roger Marino, italiano di seconda generazione. VMware è made in svizzera. LinkedIn ha un bel mix franco-tedesco. Broadcom ha tanta Polonia. Jerry Yang da Taiwan ha fondato Yahoo. Elon Musk, golden boy di Tesla, Paypal e SpaceX è sudafricano.

Questo perché i poli di innovazione come la Silicon Valley tendono a produrre una dinamica propria che attira sapere, investimenti e talenti da tutto il mondo. Questo è successo (e continua a succedere) nella San Francisco Bay Area dagli Settanta in poi.  Non per niente negli anni Novanta, Silicon Valley ha tratto vantaggio dalla proliferazione di imprese giapponesi, taiwanesi, coreane, indiane,europee e sono arrivati in California migliaia di ingegneri e di esperti informatici: prevalentemente da India e Cina. E’ stato anche grazie a loro, alla loro partecipazione attiva, alla loro comprensione delle nuove dinamiche della nascente economia dell’informazione che Silicon Valley è stata capace di impadronirsi anche della nuova industria, quando Internet è diventata una tecnologia commerciale. Mentre le grandi compagnie consolidate dell’Est degli Stati Uniti erano troppo rigide ed arroganti per ristrutturarsi Silicon Valley continuava a sfornare prodotti, talenti, nuove imprese, inseminare idee e nuove relazioni. Nutrendosi sostanzialmente di immigrazione.

La regola base della comunicazione in Silicon Valley

Gran parte di quello che c’è di rilevante nel mondo in cui lavoro accade nel raggio di 50 miglia, nella parte sud della baia di San Francisco. E’ fondamentale quindi imparare a comunicare bene e comprendere questa cultura solo apparentemente vicina alla nostra.

Faccio subito chiarezza: gli stereotipi sono il peggior nemico di una comunicazione costruttiva ed efficace. La personalità di ogni individuo è un universo unico e conta solo l’esperienza diretta. Però è anche vero che i manager della Silicon Valley  sono esseri umani che risentono della cultura in cui sono cresciuti e in cui vivono. Possono essere più o meno brillanti, più o meno alla mano, ma poi nei fatti agiscono come hanno imparato a fare da bambini.

Mi è capitato di assistere nei giorni scorsi ad una discussione illuminante su questo tema che ha colto esattamente nel segno. “Qui non si parla di chi sia meglio o peggio, ma solo di come attivare una comunicazione fruttuosa. Voglio fare una considerazione su un punto vitale! Che non potete tralasciare se volete interagire con questa parte del mondo. Gli americani sono fondamentalmente “inglesi” e “calvinisti”. La loro è una cultura a basso contesto e il calvinismo riduce ulteriormente questa propensione a dare un senso alle parole in base al contesto in cui sono dette. Questo fa sì che se un americano vi chiede una birra, vi sta chiedendo solo e soltanto una birra. Qualsiasi altra cosa gli diate ci resterà male. Come minimo penserà che siate poco svegli ed incapaci di capire.” 

Se un vostro partner o cliente vi chiede la larghezza della vostra nuova scheda elettronica vuole conoscere solo una dimensione. Altri dettagli non richiesti lo annoieranno e probabilmente metterà una croce su di voi a prescindere dalla qualità del prodotto. Perché lui aveva chiesto una misura e come risposta ha avuto una invasione del suo tempo del tutto inappropriata. Per noi italiani questo è molto difficile da capire e tutti abbiamo parecchi problemi prima di metabolizzare, ma è indispensabile che si entri nella logica se si vuole interagire con chi lavora da quelle parti.

“Dobbiamo imparare a scordarci del contesto e mantenerci il più possibile sulla traccia. Ricordate, se uno statunitense vi chiede A, vuole semplicemente A. Niente di meno, niente di più.” La risposta non può essere vaga o barocca ma fatta solo di dati misurabili, statistiche, informazioni dettagliate. Fornite con puntualità e rispetto dell’agenda.  Questa regola vale ovunque negli Stati Uniti. E’ una cosa generale e non limitata alla Silicon Valley. Anzi San Francisco ha una attitudine molto più smussata rispetto al resto degli USA.